PROFESSIONISTI CONTRO LA PAS E L'ALIENAZIONE PARENTALE - RETE NAZIONALE



PAS: perché i cosiddetti otto sintomi non sono sintomi

Questa nota si rende necessaria per spiegare ai non addetti ai lavori (medici e psicologi) cosa si intende per sintomo e soprattutto quando un determinato comportamento umano non può essere considerato un sintomo; credo sia superfluo aggiungere "in senso medico".

Che cosa è un sintomo: manifestazione soggettiva di una condizione patologica; questo ci dice il DSM. Una persona si reca nello studio di uno psichiatra perché si sente preoccupata, pensa che non valga più la pena vivere, o perchè si sente battere il cuore forte, si sente soffocare, ha la sensazione di svenire, o sente delle voci, vede immagini che gli altri non vedono, ecc.

Lo psichiatra "traduce" in un certo senso questi sintomi soggettivi che sono all'origine del malessere di quella persona in segni di un qualche disturbo mentale (depressione, ansia-panico, disturbo psicotico) e procede nel suo lavoro, proponendo una terapia o altro; questa "traduzione" da parte dello psichiatra viene fatta casualmente o seguendo delle regole? Chiaramente seguendo delle regole che si chiamano criteri diagnostici, messe a punto nel corso degli anni da chi fa ricerca sui disturbi mentali e confermate da più scuole di ricerca, sia in maniera clinica sia in maniera statistica.

I cosiddetti otto sintomi della PAS sono i seguenti:

  1. Una campagna di denigrazione.
  2. Razionalizzazioni deboli, assurde o futili per spiegare la denigrazione.
  3. Mancanza di ambivalenza.
  4. Il fenomeno del “pensatore indipendente”.
  5. Sostegno al genitore alienante nel conflitto parentale.
  6. Assenza di senso di colpa riguardo alla crudeltà verso il genitore alienato e alla sua utilizzazione nel conflitto legale.
  7. La presenza di sceneggiature “prese a prestito”.
  8. Allargamento dell’animosità verso gli amici e/o la famiglia estesa del genitore alienato.

Questa è una delle traduzioni di Gardner che va per la maggiore; in altre traduzioni le espressioni differiscono leggermente ma il senso è lo stesso.
Queste descrizioni di comportamenti possono mai essere scambiate per manifestazioni soggettive di una condizione patologica? Patologica è una cosa che fa soffrire e la sofferenza è una condizione soggettiva, personale. Io non posso sapere se la persona che mi sta di fronte soffre o meno se non è lei stessa a dirmelo; posso intuirlo, magari dall'espressione del viso, dall'atteggiamento, ecc. (linguaggio extra-verbale). Ma con l'intuizione siamo sul piano della metafisica non sul piano della realtà oggettiva.
Le famigerate otto manifestazioni comportamentali provocano una sofferenza soggettiva della, o delle persone che le manifestano? Se sì siamo in presenza di sintomi, e dobbiamo capire di che cosa esse sono sintomi; se no, non si tratta di sintomi ma di altro.

Ma andiamo con ordine.

Cominciamo dal primo: «La campagna di denigrazione», fatta dal bambino e da un genitore contro l'altro genitore, si deve presumere. Dietro l'espressione roboante si nasconde in realtà il fatto nudo e crudo che bambino e genitore sostengono che l'altro genitore non si comporta da genitore, è violento in famiglia, qualche volta può avere abusato sessualmente del figlio/a e che per questi motivi entrambi preferiscono non avere niente a che fare con lui. Possiamo chiamare tutto ciò sintomo? Questo rifiuto del genitore violento o abusante provoca sofferenza soggettiva? Per il bambino stare lontano dal genitore odiato è motivo di sofferenza? È esattamente il contrario; bambino e genitore dicono quello che dicono proprio perché sono stanchi di soffrire!
La "campagna di denigrazione" quindi non è un sintomo ma solo un comportamento difensivo dalla violenza dell'altro genitore.

Andiamo al secondo: «Razionalizzazioni deboli, assurde o futili per spiegare la denigrazione». Anche qui, espressioni roboanti per dire una cosa semplice semplice: inconsistenza dei motivi del rifiuto. Questa "inconsistenza" provoca sofferenza soggettiva? Ma violenza e abuso sono poi motivi inconsistenti? Il genitore odiato (e con lui avvocato e a volte CTU) dicono: "ma no, quel che dicono è falso", "stanno esagerando", e così via. A parte l'ovvia considerazione che lo stabilire la verità o la falsità di una affermazione non compete al medico, sia pure CTU, compito del medico resta sempre e solo quello di accertare i fatti in maniera oggettiva e senza pre-giudizi e fornirne una valutazione obiettiva attingendo alle proprie cognizioni tecniche; nello stabilire ciò, soprattutto se fa riferimento a malattie, deve attenersi alle conoscenze scientifiche così come codificate nelle classificazioni internazionali, magari anche indicando nella relazione il codice nosologico della patologia che ha riscontrato, come da classificazioni ufficiali (come si fa nelle cause di lavoro). Questi sono i principi che ispirano i codici deontologici di medici e psicologi; penso si debbano ritenere validi anche in ambito forense.
Per cui anche le "razionalizzazioni" non sono un sintomo; razionalizzare significa portare un concetto a razionalità, renderlo ragionevole. Potranno anche essere deboli, assurde o futili, le razionalizzazioni ma non possono mai essere scambiate per un sintomo di malattia.

Che dire del terzo: «Mancanza di ambivalenza». In psichiatria è segno di patologia proprio l'ambivalenza, affettiva o ideo-affettiva, soprattutto se marcata (schizofrenia, disturbi di personalità). L'assenza di ambivalenza è indicatore di buona salute mentale. L'ambivalenza causa sofferenza soggettiva, non la sua assenza.
Anche la "mancanza di ambivalenza" non è un sintomo.

Proviamo con il quarto: «Il fenomeno del “pensatore indipendente”». Può mai essere un sintomo? E di che? Se un bambino è capace di pensare in maniera indipendente questo è segno di maturità di quel bambino. Cos'è, qualcuno non tollera bambini capaci di formulare dei pensieri autonomi? Loro (gardneriani) dicono che questo si riferisce al fatto che il bambino ripete le stesse cose che dice un genitore contro l'altro genitore. Intanto bisogna vedere che dice. Se il bambino dice che un genitore lo ha picchiato vuol dire che questo genitore lo ha picchiato, che il bambino lo ha detto all'altro genitore, e che quest'ultimo lo afferma perché ha visto con i suoi occhi o ha saputo dal bambino. Se il bambino lo dice è perchè non vuole più essere picchiato, perchè essere picchiato gli provoca sofferenza e dicendolo spera di non dover più soffrire. Se il bambino sta dicendo bugie si accertino i fatti senza pre-giudizi; decidere a priori che un bambino che pensa con la sua testa è un bambino malato è un pre-giudizio. Ma se il bambino sta dicendo bugie, e questo viene accertato, resta un bambino bugiardo, non un bambino malato.
Vale quanto detto prima: il "fenomeno del pensatore indipendente" mai e poi mai potrà essere scambiato per un sintomo.

Vediamo il quinto: «Sostegno al genitore alienante nel conflitto parentale». Qui c'è un aggettivo di troppo, "alienante"; affermando che il bambino sostiene un "genitore alienante", si dà già per scontato che questa situazione che stiamo esaminando si chiama alienazione e pertanto si è già deciso a priori, prima di iniziare l'indagine, come stanno le cose. La CTU quindi ha solo il compito di confermare ciò che si è già deciso prima ancora di conoscere i fatti, non più di accertare i fatti. Come dire: uno dei sintomi dell'appendicite è avere l'appendicite. Molto logico, no?
Il "sostengo al genitore alienante" (come lo chiamano loro) quindi non è assolutamente un sintomo di malattia.

Proseguiamo con il sesto: «Assenza di senso di colpa riguardo alla crudeltà verso il genitore alienato e alla sua utilizzazione nel conflitto legale». Anche qui si fanno affermazioni apodittiche (crudeltà) e, come sopra, si è già stabilito che quello che dovrebbe essere un sintomo è già la malattia (alienato). La vecchia storia del lupo e dell'agnello. Riferire di violenze subite è una crudeltà? Se è vero non mi sembra che sia una crudeltà; se non è vero è una calunnia e va trattata come tale. Ma poi che significa "assenza di senso di colpa"? La presenza di senso di colpa può essere sintomo di depressione, ma la sua assenza? E per quale motivo genitore e bambino si dovrebbero sentire in colpa quando si stanno solo difendendo dalla violenza dell'altro genitore? Ma siamo matti?
L'"assenza di senso di colpa" non è assolutamente un sintomo.

Col settimo, «La presenza di sceneggiature “prese a prestito”», i gardneriani intendono quel che dice il bambino e che (secondo loro) non può essere farina del suo sacco, tanto per parlare in maniera comprensibile; ma questo chi lo stabilisce? E su che basi? Cioè se il bambino dice "l'altro genitore non mi dà i soldi", chessò, per comprare la Play Station questo sarebbe uno scenario preso a prestito? Certo, un bambino che dice questo soffre, ma soffre non perché lo dice ma per il fatto stesso che quel genitore gli fa mancare il necessario (o il superfluo). La sofferenza causata dalla mancanza del necessario può causare al bambino sentimenti di inferiorità rispetto ai coetanei, può sfociare in una depressione, può somatizzarsi in qualche modo. A quel punto diventa sintomo.
Non costituisce assolutamente sintomo di malattia la "presenza di sceneggiature prese a prestito".

E finiamo con l'ottavo (Dio si riposò il settimo, Gardner evidentemente no): «Allargamento dell’animosità verso gli amici e/o la famiglia estesa del genitore alienato». Possiamo considerarlo sintomo? Se io dico: "non posso più vedere né te, né i tuoi, né gli amici che avevamo in comune" al massimo sono una carogna ma non certamente malato.
E per concludere, anche l'ottavo non è un sintomo di malattia. E una malattia senza sintomi, cioè senza sofferenza soggettiva, su che cosa si regge?

Come si vede, queste otto descrizioni di comportamenti osservabili nel corso delle separazioni conflittuali non sono dei sintomi ma solo e soltanto descrizioni di comportamenti; voler dare a queste descrizioni il valore di sintomi di malattia significa medicalizzare il conflitto. Medicalizzare il conflitto vuol dire evitare di affrontarlo, negarlo e buttarla sulla malattia. Questa è una operazione molto scorretta e chi la mette in atto dimostra in questo modo di essere consapevole che affrontando il conflitto ne uscirebbe perdente e allora si appella all'inappellabile, cioè alla malattia.

Nelle classificazioni internazionali ogni disturbo ha un suo codice di riferimento (es. panico F40.0, un tipo di depressione F34.1, schizofrenia paranoide F20.0, e così via); se si vuole mettere con le spalle al muro il CTU che vuole fare il furbo gli si chieda di indicare il codice nosologico della presunta malattia che lui vuole diagnosticare. L'avvocato che difende madre e bambino pretenda che nella relazione di CTU sia indicato il codice nosologico, come si fa nella cause di lavoro; il CTU non potrà indicare nessun codice perché questa presunta malattia non ha codice, non esiste. Lo facciano presente al Giudice che senza codice nosologico si parla di una cosa che non esiste.


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